domenica 13 marzo 2011

Mont Flassin, 2772 m - Saint Oyen (AO)

Data: 12 marzo 2011
Eroi: Niccolò, Stefano, Nicola, Matteo, Silvestro


All'alba di venerdì finalmente si decide. Domani (cioè sabato 12) si parte alla volta del Mont Flassin su idea di Nicola (che scopriamo avere già asceso la vetta proprio questo venerdì), con l'idea di attaccare il sentiero alle 8:30. Il meteo è abbastanza indecente, ma le imprese eroiche a noi ci piacciono, quindi ci si attrezza per la bufera e si parte coraggiosi, massicci e incazzati. Ovviamente Silvestro è in ritardo (come il Cisco di Rotta per casa di Dio degli 883, bei tempi...), e alla fine partiamo alle 6:40. Conclusione, raggiungiamo Etroubles e la roulotte di Nicola all'incirca alle 8:40, e fra una cosa e l'altra si parte alle 10 del mattino, in direzione di nuvole nerissime e lasciandoci alle spalle orde di sciatori di fondo.




La prima parte di strada dall'abitato di Saint Oyen (1320 m) è abbastanza tranquilla, e quindi decidiamo di tagliare appena possibile il sentiero per sprofondare allegramente in una neve a 3 strati: fresca, un pò meno fresca, ancora più fresca. Quel poco di strada sulla pista battuta rende quasi inutili le ciaspole nostre e gli sci di Silvestro, quindi scegliamo che dove si può tagliare tagliamo. 






Tutto va bene, finché non ho la brillante idea di dire: "Oggi ci va anche bene secondo me, qualche neve la prendiamo ma dovremmo cavarcela". 1, 2, 3: la neve inizia a cadere sottile sottile ma in 5 minuti siamo fradici come pulcini. Raggiungiamo un cartello che indica le baite del Flassin (2258 m) a 30 minuti, i più lunghi della giornata. Vediamo infatti i ruderi delle baite apparire sopra un dosso in lontananza, ma è molto più lontano di quanto appare (maledetta prospettiva!) e immerso nella neve profonda. Ci ripariamo e cerchiamo di incamerare qualche caloria per lo strappo finale.




I pendii dietro le baite sono perfetti per le ciaspole e per le sci, se solo si capisse la loro reale pendenza: il cielo e la neve si uniscono all'orizzonte e non è chiaro fin dove riusciremo ad osare. Risaliamo 3 vallette molto erte, mettendo a dura prova le caviglie e i dentelli delle ciaspole, fino a giungere in vista di alcuni promontori rocciosi che indicano che siamo vicini all'anticima del Mont Flassin. In teoria dovremmo essere quasi in vista del Monte Bianco, ed in effetti di bianco ce n'è un sacco ma ovviamente la visibilità è di circa 2 metri, quindi niente panorami per oggi!






All'alba delle 14 conquistiamo l'anticima del Flassin (2600 m), ma facciamo appena in tempo a stringerci le mani che una folata di vento micidiale ci sbatte in faccia una quantità di neve tagliente sufficiente a segarcela. Dopo 5 minuti iniziamo la discesa, con Silvestro che fa da apripista sugli sci e noi dietro a cercare di rimanergli appresso. Le nostre tracce sono state completamente coperte, quindi fatichiamo non poco a ritrovare la giusta via di discesa sui pendii scoscesi della vallata. Dietro ad un dosso di roccia appaiono le baite che ancora una volta ci accolgono e ci proteggono almeno un pò dalla furia omicida del vento e della neve.




Ripartiamo verso le 15 dalle baite, e nel giro di poco più di un'ora siamo a valle, in fondo alle piste da sci oramai deserte. Ci cambiamo, una mini-esercitazione sull'uso dell'Artva, e poi via a coronare la giornata con una bella birra al genepy ed una sosta dal formaggiaro di fiducia di Nicola che per 19 euro (!!!) mi fa portare a casa due tomini da griglia (ben più grandi di quelli che si trovano a Milano!), una toma da capra, una sleppazza di fontina ed una di formaggio erborino con aggiunta di salsa alle mele renette. Una giornata eroica, conclusasi con un'esperienza altrettanto eroica, da riproporre con condizioni di bel tempo (magari con puntatina finale alla vetta vera e propria). Se non sono comunque soddisfazioni queste...




venerdì 4 marzo 2011

Monte Cazzola (2330 m) e Punta d’Orogna (2426 m), Alpe Devero (VB)

Data: 12 febbraio 2011
Eroi: Niccolò, Stefano, Mattia, Roberto

A questo giro siamo riusciti in qualche modo a coinvolgere qualche altro partecipante, ancora non è chiaro in che modo. In realtà il merito di questa impresa è tutto di mio fratello, colto da un’improvvisa mania ciaspolatoria. Alle 6:30 siamo davanti alla metrò di QT8 e partiamo, destinazione Alpe Devero (1631 m). La strada è lunga e sostanzialmente tutta dritta, quindi la possibilità di un bel sonnellino sarebbe da cogliere al volo, ma la voglia di conoscersi un po’ meglio ci fa stare svegli a chiacchierare un po’. Riusciamo ad arrivare al Devero in tempo per parcheggiare al coperto, il tempo di bere qualcosa di caldo ad uno dei bar della piana e poi, si parte, baldanzosi come non mai!









Superiamo le piste da sci e andiamo verso Piedimonte, ancora immerso nelle prime ombre mattutine. Vediamo dietro di noi imponenti massicci coperti di neve ed inondati da un sole splendente: sarà una giornata molto calda e luminosa, o almeno speriamo…
Risaliamo il bosco seguendo una traccia evidente su una neve compattissima ai limiti del ciaspolabile, cercando di mantenere un passo sostenuto per guadagnare quota in tempi rapidi. Questo passo “alpino” fa ovviamente qualche vittima, ma con sagge soste ed opportuni rallentamenti il gruppo si ricompatta giusto appena arriviamo in vista delle baite dell’Alpe Misanco (1907 m), preannunciata da una bella spianata innevata. Ci fermiamo su un piccolo promontorio nei pressi dell’alpe per rifocillarci un attimo con qualche porcheria fornita da Mattia (Ferrero Rocher e Pocket Coffee soprattutto) e con qualche cosa di più sano mio e di Stefano (mela e banana). Dopo 20 minuti di riposo e di foto più o meno serie ripartiamo tenendo lievemente la sinistra, errore che pagheremo più tardi.







Il pendio è abbastanza ripido ma molto largo, il che permette di zig-zagare e di tenere un buon passo nonostante la pendenza accentuata. Quando sbuchiamo sul pianoro in cima al bosco sopra l’Alpe Misanco Stefano ci gela il cuore annunciando che il panettone che si vede più avanti è il Monte Cazzola (2330 m). Questo non sarebbe un problema se non fosse che la nostra unica meta era la Punta D’Orogna (2426 m), che però si trova più a nord-ovest rispetto a dove stiamo andando noi. La mappa sembra comunque indicare che sia possibile concatenare le due vette in modo agevole. Dopo qualche foto di rito sulla vetta del monte scopriamo che non è proprio così: esiste una parvenza di traccia che scende dal versante orientale, ma è appunto una parvenza su un pendio molto scosceso con roccette affioranti che ci fanno cambiare idea all’unanimità. Ritorniamo sui nostri passi e alla base del versante occidentale pieghiamo a sinistra per scendere sul fianco nord del monte, in direzione di una traccia che risale tutta la vallata fino alla Punta d’Orogna, la cui minuscola vetta vediamo sorridere sotto un sole cocente, e anche abbastanza mistico (vedi foto).









Recuperata la traccia saliamo (ormai sono le 12:30) in direzione della nostra vera meta, e fra ciaspole perse (Mattia è un eroe…) e pendii semi-verticali raggiungiamo la piccola cima, da cui si ha un panorama entusiasmante di tutto ciò che ci circonda. Facendo attenzione alle cornici ci facciamo qualche foto ricordo, per poi scendere di 50-60 m nella conchetta sotto la vetta, dove ci stendiamo e ci apparecchiamo un vero e proprio “pic-nic sulla neve”. Nel frattempo Mattia inizia a russare alla grande…











La discesa è valle è più complessa del previsto: in val Buscagna abbiamo il nostro bel da fare per trovare una via che ci permetta di evitare un muro ghiacciato con radici annesse. Dopo qualche tentativo troviamo un canalino di neve fresca che ci consente di scendere a rischio zero (o quasi). Da lì in poi è tutto molto più facile: arriviamo all’Alpe Misanco in mezz’oretta (individuando il bivio mancato che ci ha portato per sbaglio prima al Cazzola…ma manca il cartello che indichi la punta d’Orogna!), e in 50 minuti siamo al sicuro alla Piana del Devero, ormai all’imbrunire. Un paio di birrette ed una fetta di torte all’Osteria Alpina rinfrancano i nostri cuori, prima che il sottoscritto si metta alla guida e conduca gli eroi verso casa. Giunti a Milano la partita sorprende me e mio fratello proprio dietro allo stadio, e ci tocca quasi un’ora di coda (in riserva). Ma in fondo, per una giornata così ne valeva proprio la pena…





lunedì 21 febbraio 2011

Monte Palanzone, 1436 m – Brunate (CO)

Data: 19 dicembre 2010
Eroi: Niccolò, Stefano

Ormai è da un mese che con il caro amico Stefano non bazzichiamo su per qualche vetta lombarda, e decidiamo che è giunto il momento. L’idea di base è sabato 18, ma questioni di pubbliche relazioni spostano la scelta a domenica 19. Ovviamente, sabato c’era un sole incredibile e domenica un tempaccio da lupi. Vabbè, a noi ci piace così (sic!!)…
La partenza è fissata alle 7 del mattino (osiamo dormire un po’ data la non eccessiva altitudine della meta), e baldanzosi ci dirigiamo alla volta della ridente Brunate (715 m), che Stefano voleva raggiungere a piedi da Como (e ancora una volta: pazzi si, scemi no dai!). Parcheggiamo la macchina sotto al faro voltiano (nei pressi del ristorante San Maurizio), meta di numerose attività scout negli anni passati, e ci dirigiamo alla volta del nostro destino. L’obiettivo dichiarato è il Monte Palanzone (1436 m), un simpatico panettone che svetta (???) nel triangolo lariano.
Dato che siamo ambiziosi, attacchiamo la strada evitando come la peste i giri brevi e rapidi, e percorrendo imperterriti tutte le creste che la morfologia del terreno ci mette a disposizione. Sotto un cielo sempre più grigio e meno amico raggiungiamo il Monte Boletto (1236 m), da cui abbiamo una vista fantastica del lago di Como, nella sua unica apparizione odierna (tutto verrà coperto dalle nuvole fra poco). Appena giunti alla vetta, inizia a soffiare un vento canchero, che ci costringe a scendere rapidamente in direzione del monte Bolettone, e fa la sua comparsa anche la neve a raffica che ci viene sparata in faccia a intervalli più o meno regolari. Ci si copre quindi, e si riparte. Per la cronaca, persone incontrate finora: 1.




Dal Boletto al Bolettone ci mettiamo circa un’oretta fra una pausa per coprirsi e l’altra, e notiamo che la presenza umana inizia ad essere un po’ più ricca, anche se visto il tempo la zona ha perso sicuramente un buon numero di frequentatori. Attacchiamo la cresta e giungiamo al grande monumento di vetta del monte Bolettone (1317 m) che sono ormai le 11 del mattino e siamo in giro ormai da 2.5 h, martoriati da neve e vento. Nonostante tutto il morale è alto quasi quanto Stefano (quindi altino, diciamo).




In discesa dal Bolettone incrociamo una comitiva di 15 persone che procede spedita verso chissà dove. Seguendo i loro passi ci tocca di rischiare di scivolare e fracassarci a terra un po’ di volte ciascuno: Stefano ci riesce, io in qualche modo non poggio mai il culo a terra. E sì che questa è la prima volta che non mi porto dietro i ramponi, mannaggia!
La strada è lunga, il terreno coperto da uno strato ben solido di ghiaccio mascherato da un lembo di neve che ci dà non poche noie. Verso le 12:30 arriviamo in vista della cresta finale che ci porterà in vetta al Palanzone. Con qualche fatica, alle 13 siamo su, e la neve è su con noi. 




Vorremmo godercela un po’, ma il tempo infame ci fa mangiare i nostri pochi pani in poco tempo, e ci invita a scendere verso le 13:30 – 13:45. La strada del ritorno è lunga e faticosa, e il ghiaccio non aiuta. Arrivati alla base del Bolettone scegliamo di evitare le creste e di fare la dorsale normale, per provare ad abbattere i tempi di percorrenza. 




Il risultato è che arriviamo alle 16 al rifugio Boletto, dove una bella birra ed un fettone di torta chiudono in modo degno una giornata dai due volti: bella ma gelida. Queste calorie suppletive ci porteranno alla macchina in mezz’oretta, pronti per rituffarci nella vita di ogni giorno…

venerdì 18 febbraio 2011

Passo Portula, 2280 m – Conca del Calvi (Carona)

Data: 13 novembre 2010
Eroi: Niccolò, Stefano

Si parte alle 6 del mattino da Milano, con una destinazione ben precisa (Carona, in cima alla val Brembana) ed un’ambizione ancora più precisa: la vetta del Cabianca e l’anello che congiunge questa vetta alla valle dei Frati, per ritornare poi giù a Carona dal sentiero estivo.
Arriviamo a Carona (1110 m) verso le 8 del mattino, la temperatura è drammaticamente vicina allo zero ma il cielo terso e limpido ci fa capire che ci sono tutte le condizioni per una giornata strepitosa. Attacchiamo la carrabile che porta al Rifugio Calvi (2020 m) con molta determinazione, rischiando l’osso del collo su qualche tornante ghiacciato, ma a noi ci piace così.



Fra una chiacchiera e l’altra arriviamo alla diga del lago di Fregabolgia (1957 m), che ci accoglie con la sua imponente mole sotto un sole quasi primaverile tanto è caldo. La neve, fino a quel punto abbastanza dura e solida, inizia a cedere sotto i colpi dei raggi ultravioletti, e gli scarponi, ancora inopportunamente privi di ghette, iniziano a sprofondare con somma gioia di entrambi. Qualche istante di pausa per fare due foto alla conca che inizia ad aprirsi davanti ai nostri occhi non si può non fare, e quindi l’occhio casca sul monte Cabianca (2601 m) davanti a noi, sommerso da una bella coltre di neve, che sembra stia aspettando solo noi.



Il tempo di arrivare al Calvi e le nostre ambizioni vengono frustrate dal rifugista, che indicando la spalla del Cabianca e il sottostante canalino ci dice che andare su di là si rischia di smuovere troppa neve e di restare sotto qualche valanga. Non pago di questo avvertimento, ci fa notare che le sole tracce che si avventurano da quelle parti sono quelle di due sci alpinisti, che però hanno pensato bene di ritirarsi prima di tentare la sorte. Di conseguenza, al grido di “Pazzi sì, ma scemi no!”, ci incamminiamo verso il Passo Portula (2280 m), seguendo le impronte di qualche altro avventuriero con le ciaspole che ci ha preceduto. Nonostante qualche incidente di percorso (lievi crampi per Mr. Stefano), raggiungiamo indenni il Passo dopo qualche suggestivo passaggio fra magiche dune innevate, e giunti lassù si apre davanti uno scenario da favola. L’alta Val Seriana è immersa nella neve, distinguiamo qualche vetta ma siamo troppo estasiati per metterci a elencarle tutte. In compagnia di qualche cornacchia sgranocchiamo il nostro cibo (in realtà il cibo è tutto di Stefano, io avevo il frigo vuoto), e ci concediamo un po’ di meritato riposo.







                            


La discesa verso il Calvi è meno lunga del previsto, ma abbandonare simili paesaggi può fare molto male. Giunti al rifugio una bella birretta per me e qualcosa di caldo per Stefano ci aiutano a ridarci morale in vista dell’orrida via del rientro, che provvede infatti a segarci le gambe senza troppi complimenti. Alle 16:30 circa siamo alla macchina, pronti a rientrare a casa. In realtà io vado a casa, ma Stefano (un vero eroe!) riparte alla volta della PrimAlpe di Canzo per una rimpatriata con vecchi amici. Se non è passione per l’Alpe questa…



Pronti, Partenza...Via!

Un blog, un diario, una raccolta di storie.
Le storie dei miei giri in montagna, delle persone che sono venute con me, delle cose vissute. Non un blog particolarmente tecnico (se cercate informazioni dettagliate sui giri da fare cascate male, non è il mio scopo), ma un blog dove poter raccontare qualcosa che per me vale molto.


Ciao a tutti, e benvenuti!
Nico